Seconda Domenica di Quaresima (A)

GUIDA ALL'ASCOLTO 
di Fulvio Rampi 

La II domenica di Quaresima – secondo la testimonianza che parte dagli antichi libri liturgici per arrivare fino all’ultima riforma post-conciliare – era assimilabile alla IV domenica di Avvento, nel senso che entrambe le festività concludevano una settimana “speciale”, ovvero appartenente al ciclo liturgico delle cosiddette “Quattro Tempora”, soppresse dall’ultima riforma liturgica. Già si è detto, a commento dell’ultima domenica di Avvento, della ricchezza liturgico-musicale di questi quattro momenti annuali che componevano una sorta di “festa delle stagioni”, la cui abbondante liturgia diveniva simbolo della ricchezza dei doni della terra. La prima settimana di Quaresima, pertanto, era associata al ringraziamento per l’approssimarsi della Primavera, che la liturgia delle “Quattro Tempora” celebrava con particolare solennità al mercoledì (feria IV), al venerdì (feria VI) e soprattutto al sabato. Ne conseguiva, come in Avvento, un vero e proprio “vuoto liturgico” per la domenica che chiudeva la settimana (detta appunto “dominica vacat”). I più antichi codici gregoriani (X secolo) testimoniano comunque che, già prima della loro stessa comparsa, questa lacuna era già stata colmata e ciascuna domenica conclusiva delle “Quattro Tempora” risulta dotata di una propria messa. Ciò che importa rilevare, tuttavia, è che i canti previsti dalle antiche fonti per questa messa domenicale non sono affatto “propri”, nel senso che sono in gran parte estrapolati dalla feria IV della ricca settimana precedente. In definitiva, il proprio della II domenica di Quaresima coincideva sostanzialmente – salvo l’eccezione del tractus originale – con il proprio del mercoledì della I settimana. Questo è ciò che ritroviamo nei più antichi manoscritti notati ed è ciò che ugualmente testimoniano i libri liturgici fino all’ultima riforma. Il Graduale Romanum del 1974 (GR1974) – frutto della stessa riforma post-conciliare – ha operato un significativo “cambio di rotta”, sul quale è opportuno fermare la nostra attenzione. Bastano gli esempi dei due brani qui proposti – l’introito “Tibi dixit” e il communio “Visionem”, indicati appunto nel GR1974 per questa II domenica – per avere un quadro già sufficientemente chiaro del problema. Il citato cambio di rotta è appunto ravvisabile dal confronto fra le edizioni “pre” e “post” conciliari. I due brani propri del mercoledì – utilizzati nel corso dei secoli per la II domenica – sono l’introito “Reminiscere” e il communio “Intellege clamorem meum”. In GR1974 è stata conservata solo la loro collocazione feriale originale, mentre per la  domenica – pur lasciando la possibilità di utilizzare (ad libitum) lo stesso introito – essi lasciano spazio, come si è visto, all’introito “Tibi dixit” e al communio “Visionem”. Come si spiega questa nuova scelta? E da dove provengono questi due “nuovi” canti, mai associati prima d’ora a questo contesto festivo?

Per rispondere ad entrambe le domande, va considerato il “titolo” di questa II domenica, ossia la “Trasfigurazione del Signore”. Anche se, com’è noto, la festa liturgica cade il 6 agosto, il suddetto episodio evangelico caratterizza questo momento quaresimale e, anche dopo la riforma liturgica è stato mantenuto – diversamente dalle successive domeniche di Quaresima – per tutti i tre anni del ciclo liturgico. Il racconto della Trasfigurazione – in particolare quello di Matteo (Mt 17, 1-9) – riserva una speciale sottolineatura al “volto” di Cristo (“…il suo volto brillò come il sole”), tema assai presente nella tradizione dell’antico canto liturgico.

Nell’introito “Tibi dixit” – previsto dagli antichi codici solo due giorni più tardi, al martedì della II settimana – il tema del volto diviene assolutamente centrale ed è strettamente associato al “quaerere Deum”, principio essenziale nella riflessione ecclesiale. La collocazione di questo introito alla domenica della Trasfigurazione, risponde così ad una sorta di “principio di pertinenza”, secondo il quale i testi cantati dovrebbero richiamare, per quanto possibile, il tema centrale della celebrazione. L’anonimo compositore, infatti, individua con chiarezza il punto saliente del fraseggio nell’inciso conclusivo della prima frase: “quaesivi vultum tuum” (ho cercato il tuo volto). Valori musicali allargati e abbondanza di note realizzano tale intenzione, a sua volta preparata con sapiente “indugio sonoro” costruito attraverso il prolungato riverbero dei gradi melodici Si-Do, caratteristici del deuterus autentico (III modo). L’insistenza modale diviene insistenza testuale con la ripetizione e la nuova decisa sottolineatura del medesimo concetto (“vultum tuum, Domine, requiram”; il tuo volto, Signore, cercherò), prima che la composta supplica finale (“ne avertas faciem tuam a me”; non nascondermi il tuo volto), resa efficacemente da una melodia che piega verso le zone più gravi, realizzi la cadenza conclusiva.

Anche per il communio, come si è detto, la scelta operata dal GR1974 si distacca dalla precedente tradizione: al communio “Intellege clamorem” – nuovamente restituito alla feria IV, sua collocazione originale – è stata preferita la breve antifona sillabica “Visionem quam vidistis”. Il principio di pertinenza, in questo caso, è ancor più evidente che nell’introito: contrariamente al communio “Intellege” – che non ha diretta attinenza con la Trasfigurazione – il testo di questa antifona è preso direttamente dalla conclusione del racconto evangelico. Ma la scelta suggerita dalla pertinenza testuale, in questo caso, è realizzata a spese di un altro principio, che potremmo definire di “coerenza”, per la verità ancor più importante se rapportato al “progetto gregoriano” nel suo complesso. Il difetto di coerenza sta nella dissociazione tra forma e contesto liturgico, che la scelta di questa antifona finisce per provocare. Non può sfuggire il fatto che l’antifona “Visionem” non appartiene al grande repertorio della messa, ma all’Ufficio Divino. La mancanza di antifone per la comunione che fanno diretto riferimento al racconto della Trasfigurazione, ha indirizzato i compilatori del GR1974 verso l’utilizzo di un brano “preso a prestito” da un altro repertorio gregoriano che, seppur autentico, è stato pensato con caratteristiche stilistiche intimamente associate alla liturgia delle Ore. L’estrema sillabicità di questa antifona ne offre esplicita conferma e ricorda quasi “simbolicamente” il criterio – in realtà assai discutibile – che ha ispirato la compilazione del Graduale Simplex (1967). Il communio “Visionem”, pertanto, non è che un’antifona sillabica dell’Ufficio, passata al repertorio della messa; la sua originale destinazione ne chiarisce “a priori” la natura sillabica: lo stile si mantiene semplice e sorretto da un impianto modale essenziale e facilmente classificabile in I modo. La proclamazione del testo è limitata alla pura “materialità”  di una corretta pronuncia, da realizzarsi senza particolari slanci espressivi, ma con la naturalezza richiesta da un andamento “ordinario” e da un ritmo verbale assicurato dal rispetto del valore sillabico.