Prima Domenica di Quaresima (B)

GUIDA ALL'ASCOLTO 
di Fulvio Rampi 

Le osservazioni sui canti gregoriani qui proposti, necessitano di una fondamentale premessa: tutti i testi dei cinque brani propri della I domenica di Quaresima (introito, graduale, tractus, offertorio, communio) sono tolti dal salmo 90 e alcuni versetti, come si dirà, compaiono più volte nella stessa messa. È la domenica delle tentazioni di Cristo; un’antifona dell’Ufficio ce lo ricorda con la consueta sintesi: “Ductus est Iesus in deserto ut tentaretur a diabolo”. Nel testo evangelico c’è anche, in particolare, l’episodio in cui Satana stesso dice a Cristo di gettarsi dal pinnacolo del Tempio, sostenendo la sua proposta con la citazione delle Scritture: “angelis suis mandavit de te…..” (“ha dato ordine ai suoi angeli…con le mani ti sosterranno….). Questo è proprio un versetto del salmo 90, che la liturgia ha sapientemente scelto come testo del graduale dopo la prima lettura. Prima che, nella pericope evangelica, ne venga ricordata la demoniaca esegesi, la Chiesa ha già fatto risuonare la propria esegesi per bocca della schola e del solista. Non solo: sempre prima del vangelo, in sostituzione dell’alleluia (“sospeso” fino alla veglia pasquale), viene eseguito il poderoso tractus “Qui habitat”, il cui testo è praticamente quasi tutto il salmo 90 (compreso il versetto cantato appena prima nel graduale). Va detto, per inciso, che questo brano è uno dei più lunghi del repertorio gregoriano (dura circa un quarto d’ora) ed è una presenza che, nel bel mezzo della celebrazione, percepiamo quantomeno come scomoda per l’attuale liturgia. La “provocazione” è netta perché non si tratta di un brano processionale, che deve cioè accompagnare uno spostamento: l’assemblea è ferma, seduta, deve “solo” ascoltare. La scelta di un tractus così lungo e “ingombrante”, evoca il ben noto problema della durata dei canti: questione che meriterebbe un’ampia riflessione e che andrebbe affrontata a partire dalla convinzione che è la Chiesa stessa ad insegnarci da sempre i criteri fondamentali di accostamento al testo, in vista di una traduzione sonora chiamata a divenire culto divino. In questa I domenica di Quaresima, il canto gregoriano dice chiaramente quali siano questi criteri, mostrando in tutta evidenza che tale percorso è totalmente assimilabile alla “lectio divina”.

Le dimensioni smisurate del tractus, unite alla sua complessità compositiva, realizzano propriamente una “lectio” del salmo 90, fatta soprattutto di insistenza, che si manifesta in ambito strettamente musicale con la reiterazione di moduli compositivi in stile fiorito. Insistenza ravvisabile anche nella frequenza con cui medesimi testi vengono più volte proposti per i vari momenti liturgici. E’ il caso dei versetti 4 e 5 (“Scapulis suis obumbrabit tibi…”), che dopo essere stati proclamati nel tractus, sono ripresi, in modo assolutamente identico, sia per il testo dell’offertorio che per il  communio. Come già abbiamo potuto constatare alla I domenica di Avvento, non si tratta di mancanza di fantasia, ma dell’impiego del principio fondante della lectio divina, attraverso cui si vuole “sviscerare” il testo, facendolo risuonare in modi diversi, per poi assegnargli una collocazione liturgica diversificata per stili e forme. È l’espressione viva del desiderio della Chiesa di far esaltare e far gustare i molti sapori di un medesimo testo, di “macerarlo”, di assimilarlo, di interiorizzarlo. È proprio quell’insistenza, creatrice di familiarità e di adesione piena alla Parola, da cui risulta evidente l’atteggiamento spirituale di “ruminatio”, fondamento del percorso di lectio. Percorso che si sostanzia in un “climax” espressivo, in ordine al quale l’intensità crescente dei vari momenti (dalla “ruminatio” alla “contemplatio”) è associata alla progressiva complessità degli stili compositivi. Questo è il presupposto che la Chiesa, attraverso la testimonianza del canto gregoriano, pone a fondamento del problema della “durata” dei canti. Ben prima di mutevoli soluzioni congiunturali che, prescindendo da un percorso di lectio, imboccano le strade della brevità “a prescindere” o della immotivata prolissità, conviene forse tornare ad imparare la lezione severa della Chiesa, la quale ci insegna da sempre – e per sempre – da dove partire per accostare con serietà e rispetto il testo sacro destinato al canto liturgico.

L’idea di lectio divina, che accomuna i testi cantati di questa domenica, presuppone e dilata ulteriormente il principio di “relazione”, anch’esso costitutivo del repertorio gregoriano. L’itinerario per “forme” – che recepisce gli stili compositivi ordinandoli in momenti liturgico-musicali ben connotati – non esaurisce la natura espressiva (ovvero estetica) del gregoriano: la “forma” è completata dalla “formula”, termine col quale si intende ogni entità musicale, di dimensioni variabili, fondata sul principio dell’allusione. E’ ciò che succede nel nostro introito “Invocabit me” sull’accento del verbo “glorifi-ca-bo” (lo glorificherò). Tale movenza melodico-ritmica, sebbene di poche note, segnala in realtà un esplicito richiamo ai cantici della Veglia di Pasqua, dove la stessa formula risuonerà più volte dando il segno definitivo del contesto pasquale. Dunque, l’introito che inaugura le domeniche di Quaresima si configura, in questo suo punto centrale, come momento allusivo di grande forza, nel quale è già contenuto l’annuncio di Pasqua. E’ anche significativo il fatto che il testo qui utilizzato sia tolto dalla seconda parte del salmo 90, ovvero là dove – diversamente da quanto succede negli altri brani del proprio – è Dio stesso a parlare in prima persona: “Mi invocherà, lo esaudirò, lo libererò, lo glorificherò”. Ed è precisamente su quest’ultimo verbo – vero e proprio vertice espressivo dell’introito – che l’impiego della suddetta “formula pasquale” fa anche toccare alla melodia il suo punto culminante.  La promessa della Pasqua è già presente all’inizio del cammino quaresimale e non a caso risuona, come nel primo introito di Avvento (“Ad te levavi”), in ottavo modo, l’ultimo dei modi gregoriani, segno anch’esso di una promessa di compimento finale.