Seconda Domenica d'Avvento (B)

GUIDA ALL'ASCOLTO 
di Fulvio Rampi 

Il testo dell’introito gregoriano della II domenica di Avvento merita alcune osservazioni preliminari e rimanda, più in generale, al complesso procedimento di composizione testuale attuato per i canti del “proprium missae”. Tentiamo una sintesi della questione. 

Il procedimento più semplice l’abbiamo incontrato nella I domenica di Avvento, laddove il testo dell’introito (“Ad te levavi”) era frutto della scelta di pochi versetti consecutivi del salmo 24. Altre volte i versetti biblici (in maggioranza dal libro dei salmi, ma non solo) non sono scelti consecutivamente; dunque, si rende necessaria un’operazione di centonizzazione, ossia di cucitura dei vari frammenti testuali, alfine di ottenere un testo in grado di assicurare, in estrema concisione, la massima pregnanza espressiva. Caso emblematico è il communio quaresimale “Videns Dominus”, che racconta il miracolo della risurrezione di Lazzaro: il Graduale Triplex – che segnala i riferimenti scritturistici all’inizio di ogni brano – ci informa che il testo di questo communio – tolto dal cap.11 di Giovanni – è il risultato della centonizzazione, in ordine, dei versetti 33-35-43-44-39. Il risultato è il seguente: “Videns Dominus flentes sorores Lazari ad monumentum, lacrimatus est coram iudaeis et clamat: Lazare, veni foras. Et prodiit ligatis manibus et pedibus, qui fuerat quatriduanus mortuus” (“Il Signore, vedendo le sorelle di Lazzaro piangere presso la tomba, scoppiò in pianto davanti ai Giudei e gridò: Lazzaro, vieni fuori. E uscì, con mani e piedi legati, quegli che era morto da quattro giorni”).
Spesso, alla centonizzazione si accompagna una vera e propria modifica del testo, attraverso sostituzioni o aggiunte di parole. Così, ad esempio, nella prima frase dell’introito “Da pacem” (XXIV dom. T.O.) è precisamente il primo sostantivo ad essere modificato rispetto al testo biblico tolto dal Siracide (Sir 36,18); all’originale “Da mercedem sustinentibus te” (Concedi “la ricompensa” a coloro che ti attendono), viene sostituito “Da pacem” (Concedi “la pace”), lasciando inalterato il resto della frase. Ma non è tutto: l’aspetto più “coraggioso” e più interessante di questa procurata metamorfosi testuale a partire dal testo biblico, sta non solo nella scelta, nella centonizzazione, nella sostituzione, bensì nella vera e propria aggiunta di un nuovo testo. Anche qui, un esempio su tutti: nel graduale “simbolo” della Settimana Santa, il “Christus factus est”, all’incipit del celebre testo originale di Paolo (Fil 2,8) viene aggiunto “pro nobis”: “Christus factus est pro nobis oboediens usque ad mortem” (Cristo si è fatto “per noi” obbediente fino alla morte). Ebbene, la risposta del canto gregoriano ai suddetti procedimenti di modifica del testo è evidente: ciò che la liturgia cambia, sostituisce o aggiunge, diviene musicalmente un contesto di speciale espressività e un punto di mira privilegiato nell’economia complessiva del fraseggio. Per tornare agli ultimi esempi citati, “Da pacem” e “pro nobis” – in qualche modo paradigmatici di tale fenomeno –  rappresentano ciascuno la vera sottolineatura speciale del rispettivo contesto di appartenenza. Possiamo dunque constatare, a proposito dei testi per i canti del proprio, vari gradi di elaborazione destinata al canto: ogni intervento manifesta già, almeno in embrione, il pensiero, la riflessione, la prima risposta “liturgica” della Chiesa al testo biblico che le è stato consegnato. La risposta definitiva è data dall’esito sonoro che il canto gregoriano intende assegnargli.

E siamo finalmente al nostro introito “Populus Sion”, fin qui lasciato in ombra perché esempio riassuntivo di quanto si è detto. Il riferimento al libro di Isaia (Is30,19.30), per l’anonimo compilatore del testo di questo introito, diviene spunto per una nuova e radicale rielaborazione: Il primo versetto originale di Isaia (“Popolo di Sion,….il Signore ti farà grazia”), centonizzato con il secondo versetto poco distante (“il Signore farà udire la sua voce maestosa e mostrerà come colpisce il suo braccio con ira ardente….”) si presenta, nel testo biblico, all’interno di un contesto di “vendetta divina” contro l’Assiria, per la salvezza d’Israele. Ebbene, proprio questo testo che promette l’annientamento di un popolo nemico, viene utilizzato e radicalmente modificato per divenire, nella prima frase dell’introito, un annuncio di salvezza universale: “il Signore verrà a salvare tutte le genti”. Il canto gregoriano, in questo caso, ha buon gioco nel sottolineare con enfasi proprio questa inversione di significato prodotta dal nuovo testo, insistendo segnatamente sulla voluta contrapposizione “Sion-gentes”. L’antico notatore sangallese ne dà testimonianza ancor più esplicita – come possiamo vedere sulla riproduzione della pagina del Graduale Triplex –  aggiungendo una preziosa indicazione “di senso” alla sua notazione in campo aperto (quella aggiunta fra il testo e la notazione quadrata): tanto sull’accento di “Sion” , quanto sull’accento di “gentes” viene tracciata, sui rispettivi neumi di due e tre suoni già a valori allargati, la lettera “t”, ossia “tenere, trattenere”, quasi a voler ulteriormente indugiare nell’amplificazione del valore di tali parole e soffermare lo sguardo sull’intima relazione-opposizione di questi due elementi testuali decisivi. Dopo aver proclamato, come si ricorderà, l’universalità dell’Avvento di Cristo la domenica precedente (“Universi qui te exspectant, non confundentur”), in questa seconda domenica l’annuncio si fa ancor più intenso e “dirompente”: al popolo eletto (Populus Sion) viene annunciata l’opera del Signore non attraverso l’annientamento degli altri popoli, ma attraverso la loro salvezza. Dopo il carattere di questa prima frase, il testo di Isaia utilizzato per la seconda frase (“et auditam….”) assume quasi naturalmente un nuovo colore e un tono spiccatamente gioioso, tradotto musicalmente da arditi slanci melodici e sottolineature espressive, esplicitate dal raggiungimento delle estremità acute del brano e dalla prolungata insistenza sugli stessi gradi melodici. La modalità di questo introito, infatti, è di tetrardus autentico (VII modo), la cui strutturale e confermata estensione verso la zona acuta, bene si combina con la qualità di un simile annuncio di salvezza; la “letizia del cuore”, infine, ne rappresenta alla perfezione l’eco e il riposo cadenzale conclusivo.